niziamo questo nuovo esperimento, un racconto molto poco tecnico di quello che sarà il Campionato Europeo Montagna, con gli occhi e le parole di chi prima di essere un fotografo professionista (ma solo perchè ho partita IVA) è stato un murettista convinto ed orgoglioso.
Un viaggio, quello che vi propongo, raccontato con il cuore e le emozioni per illustrarvi ciò che si trova al di fuori dei patri confini, alla scoperta di ciò che l’Europa salitara ha da offrire con la nostra specialità, le salite, lontano da ciò che ci raccontano e che vogliono farci credere.
Mi dispiace se vi annoierò, felice se saprò farvi vivere, anche se in parte, quello che ho provato ad ogni passaggio visto e fotografato e ad ogni chilometro percorso fuori dai comfort casalinghi.
Iniziamo…
La notte corre veloce sotto gli pneumatici, la autostrade francesi ci portano velocemente verso quella che sarà la prima tappa di questa mia avventura che toccherà 11 luoghi, 11 realtà, 11 gare in giro per il vecchio continente, a cercare l’emozione massima e lo scatto perfetto.
I miei compagni di viaggio sonnecchiano, scrollano la home di qualche social, mentre io stringo il volante tenendo duro finché è giorno, finché non leggo sui cartelli stradali che la meta stata raggiunta.
Saint Jean du Garde è un piccolo paese al sud, lontano dalla Francia patinata dell’alta moda e dell’arte, lontana dai maestosi castelli e dallo sfarzo.
Questa è una Francia rurale, composta, educata, laboriosa che ha trovato radici forti tra il verde dei boschi e le rocce, un paesaggio inusuale vista la vicinanza al mare.
Il paddock è vivo, vivace, incastrato nei dedali di vie di questo grazioso paese ed è infinitamente bello sentire, dopo mesi di silenzio invernale il rombo dei motori, il vociare in decine di lingue diverse, l’animarsi di meccanici operosi infilati nei motori delle loro auto, i piloti ritrovarsi da amici prima ancora che da avversari e ricominciare a scambiarsi impressioni dopo mesi lontani dalle gare. Il venerdì scorre veloce, tra la stanchezza che assesta i suoi primi colpi violenti e il tanto lavoro da fare, con la mia fida Sony in mano. Si studia il percorso, ogni sfumatura, traiettoria, curva, avvallamento, ogni luce ed ogni ombra per non lasciare nulla al caso nei giorni seguenti.
La sera arriva rapida fortunatamente, una doccia, un pasto veloce, un’ultima occhiata all’attrezzatura e via a dormire che da domani si fa sul serio.
La sveglia è sul presto, le ore dormite hanno in parte ristorato il corpo dopo le 40 ore filate in piedi ma tutto passa veloce quando in lontananza, iniziano a sentirsi i primi rumori.
La gente è tanta lungo il percorso, nelle zone dedicate, nelle zone non dedicate, una sorta di anarchia autorizzata. È una sensazione ormai persa da tempo per noi fotografi Italiani quella di immortalare un pubblico festante ed incitante al passaggio delle vetture.
Quello di St Pierre (per gli amici..) è un percorso che mette a dura prova il mezzo: tortuoso, complicato, fatto di molti cambi di direzione e che offre a noi operatori molti spunti, spettacolo, passaggi al limite che dobbiamo solo immortalare in migliaia di foto o in ore e ore di video.
Le tre prove del sabato scorrono via abbastanza veloci, senza particolari intoppi e con un clima piacevole ad accompagnare salite dei piloti.
Ma si sa, quando il sabato è troppo tranquillo…
La domenica infatti inizia con la pioggia, finisce con la pioggia e ricorda nel mezzo anche la pioggia, oltre ad una nebbia fittissima. Molte le interruzioni, troppi gli incidenti prima che gli organizzatori e la direzione gara, decidano di stoppare le partenze e annullare la gara.
La gara è andata, la competitività estrema ha portato qualcuno a gioire di una prestazione fantastica, altri a contare i secondi presi, o in alcuni casi i danni ma tutti, e dico tutti sono consci di aver reso ancor più grande uno spettacolo spesso, a casa nostra, sottovalutato, per importanza, richiamo, partecipazione.
Quella di Saint Jean du Garde è una sorta di Centro Sociale Autogestito in cui non si sa praticamente nulla, ne numero di manche, ne orari di partenza, ne di chiusura strade, dove il pubblico può camminare lungo il percorso (ed intendo a 20 cm dalla strada) durante i passaggi, che può togliere il posto ai commissari accanto ai rail, dove sotto la pioggia la gente cammina con l’ombrello chiuso con la nonchalance tipica dei francesi. Alcune cose, a dire il vero mi hanno lasciato parecchio perplesso nonostante sia di vedute larghissime.
Anche motoristicamente è realtà diametralmente opposta alla nostra, dove cavalli e velocità non hanno limitazioni, dove il parco macchine è vario, curato. Da sempre la Francia ha una predilezione per formula e prototipi, molto di più rispetto ad altre nazioni, ed i grandi numeri fatti con gli iscritti hanno portato le sfide ad un livello altissimo facendo divertire chi come me ha approcciato, in questo weekend, per la prima volta, questa realtà.
Si riparte, la strada, la notte che hanno fatto da sfondo al viaggio di andata ora sono compagni per il lungo ritorno.
I francesi come noto hanno un’idea di simpatia e cordialità tutto loro, diciamo che non sono gioiosi e ospitali come noi italiani e soprattutto hanno qualche anomalia nel palato.
Ma tralasciando la poca simpatia che nutriamo verso i cugini transalpini direi che per una volta, per due giorni siamo stati fratelli e compagni di una bellissima avventura.
Però…. La Gioconda ridatecela!!